Beato Angelo Paoli O. Carm. (1642 – 1720)

Profilo biografico

Vocazione e ministero sacerdotale

Angelo Paoli, nato nel 1642 in un ridente paesino della Toscana, Argigliano in provincia di Massa Carrara, all’età di diciotto anni è ammesso alla vita ecclesiastica, nella quaresima del 1660 riceve gli ordini minori e diventa chierico, rimanendo però in famiglia così come la prassi vocazionale del tempo prevedeva. Pur avendo in qualche modo già realizzato le sue aspirazioni vocazionali, Angelo sentì in cuor suo la chiamata ad una vita di maggiore preghiera e penitenza: per tal motivo chiese al padre il permesso di entrare tra i frati Carmelitani del vicino convento di Fivizzano, per via della devozione, coltivata fin dall’infanzia, alla Vergine Maria propria della famiglia carmelitana. Appena tre giorni dopo l’ingresso al Carmelo, si trasferì per gli studi prima a Pisa e poi a Firenze.

Il sette gennaio 1667 fu ordinato sacerdote. La salute cagionevole non gli permise di proseguire gli studi ma si dedicò con ardente passione ad alleviare la sofferenza fisica e spirituale di tutti coloro che gli stavano intorno. Le mortificazioni e le penitenze alle quali sottoponeva il suo corpo, i digiuni e la privazione del sonno nelle lunghe preghiere notturne cominciarono a minare il suo fisico.

 

Il ritorno a casa

Rientrato in famiglia per un periodo di riposo, a causa della scarsa alimentazione e del rigore delle penitenze che non aveva smesso di praticare, le sue condizioni di salute non registrarono alcun miglioramento.
I familiari lo pregarono di recarsi a Pistoia presso un cugino farmacista che con le sue conoscenze ed i suoi rimedi lo avrebbe aiutato a recuperare nuovo vigore. Anche qui padre Angelo conservò la consuetudine di recaesi presso l’ospedale per servire i malati ed essendo privo di mezzi, non disdegnava di chiedere l’elemosina per provvedere a qualche derelitto. L’amore per gli indigenti e gli ultimi infiammava sempre più il suo cuore, dilatandolo a misura della divina carità

Maestro dei novizi

Incaricato della formazione dei giovani a Firenze, educò anzitutto con l’esempio; formava i suoi giovani alla compostezza dei modi, all’autocontrollo del carattere, al dominio delle passioni e soprattutto alla preghiera e al sacrificio, proponendo ai novizi di privarsi di una parte della propria colazione per portarla ai poveri. Nel programma formativo dei giovani frati p. Angelo aveva inserito anche la visita frequente all’ospedale S. Maria Nuova per consentire ai futuri religiosi e sacerdoti di conoscere le miserie degli uomini, esercitandosi a scorgere in essi il volto di Gesù sofferente. Questi primi segni saranno la caratteristica di tutta la sua vita di carmelitano.

Parroco a Corniola

Nominato parroco a Corniola, conquistò con pazienza il cuore degli abitanti del piccolo villaggio nei pressi di Empoli, gente piuttosto chiusa e rozza. Il primo atto del suo ministero fu quello di procurare due pini per innalzare su un vicino colle una grande croce ben visibile da ogni parte del paesino. Ogni sera padre Angelo vi si recava a pregare e pian piano la sua gente cominciò a fargli corona, unendosi alla sua preghiera. Nella città, un tempo fiorente, la carestia aveva accresciuto a dismisura il numero dei poveri e degli accattoni.
Il giovane carmelitano sentì di dover provvedere loro e la fantasia della sua carità escogitò l’allestimento di quella che noi oggi chiameremmo una mensa dei poveri.
Con l’aiuto dei suoi confratelli racimolava gli avanzi della cucina del convento, raccoglieva verdura dall’orto dei frati o dalla campagna per assicurare giornalmente una minestra calda ai poveri che bussavano alla porta del convento.

A Filizzano sagrista e organista

Il 22 agosto 1683 il registro del Convento di Filizzano ne annota la presenza, come membro stabile, incaricato della sacrestia e organista. Qui rimarrà per quattro anni, distinguendosi per il suo amore verso i poveri e per la sua profonda e intensa vita di preghiera.

Roma, S. Martino ai Colli

Nel 1687 il Priore Generale Il padre Paolo di Sant’Ignazio, da un anno superiore Generale dell’Ordine, avendo istituito il convento di San Martino ai Monti come Curia Generalizia, aveva chiamato a Roma i religiosi che per virtù e sapienza, vi avrebbero assicurato la perfetta osservanza Il priore di Fivizzano non accolse con entusiasmo la richiesta del Padre Generale, anzi provò a dissuaderlo dall’idea di trasferire a Roma il padre Angelo. Nonostante le sue resistenze, la lettera di obbedienza, fu consegnata la sera del 12 marzo 1687al padre Angelo che “inginocchiatosi, la baciò con venerazione”.

Si narra che il primo ad accogliere a Roma il padre Angelo, fu un malato di lebbra che, incontrandolo al suo ingresso presso Porta S. Giovanni, lo accostò per chiedergli l’elemosina.
Il frate lo abbracciò e, toccando le sue piaghe le risanò con la potenza di Dio.
Potrebbe sembrare solo un tenero aneddoto da “fioretti”; vale però il racconto di questo particolare ingresso di padre Angelo a Roma come segno anticipatore ed emblematico di ciò che sarebbero stati la sua presenza ed il suo operato a Roma: abbracciare con amore la povertà spirituale e corporale dei fratelli, impegnandosi ad alleviarla mediante la preghiera e il servizio.

Il Colosseo

Dirigendosi spesso verso l’ospedale S. Giovanni e passando molto vicino al Colosseo, era preso da una grande tristezza, vedendo i carri attraversarlo come scorciatoia e i cavalli calpestare le zolle sulle quali i primi credenti avevano sparso il loro sangue per la fede in Cristo. Di notte, inoltre, il Colosseo era luogo di rifugio per i briganti e, spesso, zona di ritrovo per gente di dubbia moralità. Spinto dal desiderio di restituire al luogo la dignità sacrale e impedire la corruzione dei costumi, p. Angelo chiese al Papa Clemente XI l’autorizzazione a chiuderne le vie di accesso. Adattandosi al lavoro di muratore, con l’aiuto di volontari, chiuse gli archi con mura di pietra e piantò la croce al centro dell’Anfiteatro Flavio, trasformandolo in luogo di preghiera e meta di itinerari penitenziali, specialmente durante la Quaresima, in memoria dei martiri che avevano rinnegato la propria vita, nella professione di fede in Cristo Gesù.

Il convalescenziario

Frequentando l’ospedale vedeva i poveri senza tetto, dimessi dall’ospedale ancora deboli e convalescenti, aggirarsi presso la vicina porta di S. Giovanni. Sfruttando le sue amicizie, p. Angelo, procurava ad alcuni un alloggio temporaneo presso famiglie altolocate, mentre la maggior parte di essi, vivendo per strada, restava esposta a recidive, spesso mortali. Maturò quindi l’idea di costruire un ospizio dove alloggiare i poveri convalescenti, fino alla perfetta guarigione. Tra molte difficoltà edificò l’ospizio lungo lo “stradone” fra il Colosseo e la basilica di S. Giovanni, dove erano accolti tutti coloro che ne facessero richiesta. Narra Il Cacciari: “Giammai si potrà esprimere l’allegrezza che egli provava in ricevere dentro a quel luogo i convalescenti: Egli pensava a mandarli a prenderli se non erano in tali forze, che da se medesimi colà potessero trasportarsi; sulla porta dell’ospizio stava aspettandoli, ove giunti correva ad abbracciarli dicendoli tutto pieno di giubilo: Venite fratelli, questa è casa vostra, di qui non farete partenza, se non quando perfettamente sarete guariti”. All’arrivo di ogni nuovo ospite p. Angelo suonava il piccolo organo della cappellina in segno di festa.

Agli ospiti del convalescenziario padre Angelo, più che una semplice assistenza, offriva calore e sostegno, che sono il primo farmaco per la guarigione di quelle ferite del cuore che ogni disagio o malattia fisica inevitabilmente procurano; il suo obiettivo era quello della educazione integrale della persona: la malattia diventava per il malato una occasione di totale rinascita, di evangelizzazione e di incontro con il Cristo.

Il centro di tutta la vita di p. Angelo rimase sempre la Basilica di san Martino ai monti, dove venivano a trovarlo i tanti benefattori che sostenevano la sua opera; alla porta del convento bussavano ogni giorno i poveri, che trovavano cibo, vestiti, una parola di conforto, un sorriso, un abbraccio. In chiesa davanti all’Eucarestia, egli trovava la forza per il suo apostolato presso i malati. Qui si preparò a terminare, in preghiera, la sua esistenza; spirò nella sua cella il 20 gennaio 1720.

La spiritualità

Orazione e adorazione eucaristica

Le giornate di padre Angelo erano divorate dagli impegni conventuali ai quali non mancava mai ed erano ritmate dalla sfibrante attività caritativa. Restava la notte come tempo per il suo intimo e personale dialogo con Dio. Non è dato sapere quali grandi doni Dio ha riversato nel cuore del piccolo frate durante i silenziosi e infiammati dialoghi notturni.

Centro della sua vita spirituale era l’amore per l’Eucarestia, dinanzi alla quale trascorreva lunghe ore, specie quelle sottratte al riposo notturno. Presiedeva la liturgia con grande devozione; dopo la celebrazione eucaristica, rimaneva per molto tempo in silenzioso ringraziamento. In quei momenti, come durante il servizio ai malati, non permetteva di essere in alcun modo disturbato.

Se volessimo scendere nella stanza del cuore di padre Angelo, sarebbe possibile trovare il centro dal quale è scaturita tutta la storia di carità e di santità della sua esistenza: l’incontro con Dio amore; la memoria continua della passione del Padre verso l’umanità, spinta fino al sacrificio dell’Unigenito morto per amore sulla croce e la passione per Cristo che dilatava il suo cuore in passione per l’umanità.

Le penitenze

Padre Angelo era solito trascorrere intense ore di preghiera e praticare dure penitenze fisiche, testimoniate da alcuni confratelli, attestanti la presenza nella sua cella di cordicelle e cilici intrisi di sangue che, sbadatamente, padre Angelo lasciava alla vista.

Potrebbe sembrare trattarsi di una santità superata o di esagerazioni incomprensibili ma solo l’amore può farci comprendere il valore delle penitenze praticate da padre Angelo; esso, infatti, suscita nel cuore l’anelito di condividere i patimenti dell’Amato e di ricambiare l’amore senza misura.

Padre Angelo non si separava mai dalla Croce, segno dell’amore di Cristo. Da giovane religioso, convalescente a casa, aveva realizzato una rudimentale via crucis per i pastori delle sue montagne natali; parroco a Corniola aveva piantato la croce accanto alla chiesa parrocchiale; operatore di carità a Roma, volle piantarla sul Monte Testacci.

L’amore per Maria

Padre Angelo Paoli nutriva un grande amore per Maria, e per il santo scapolare, segno della sua materna protezione; consigliava a quanti incontrava di portarlo con fiducia e venerazione e regalava quelli che egli stesso confezionava ai malati che assisteva e ai suoi innumerevoli benefattori, desiderando ricompensarli in qualche modo ed esortandoli ad avere fiducia in Maria e nel suo materno aiuto.

La rinuncia all’episcopato

I papi, sotto il cui pontificato p. Angelo esercitò il suo sacerdozio, lo ebbero in tale stima da intessere con lui rapporti di personale amicizia e di reciproco sostegno.
Il papa Clemente XI spesso lo interpellava, giudicandolo uomo santo e valido consigliere. Più volte designato alla carica cardinalizia, per le sue doti di saggezza e di consiglio, rinunciò alla nomina per non abbandonare il servizio ai poveri e ai malati. Non ci è dato sapere se padre Angelo sia venuto a conoscenza delle sue candidature dagli stessi pontefici, in amichevole colloquio o se questi ne avessero avanzato richiesta al Priore Generale, che a sua volta avrebbe provveduto a metterne al corrente il diretto interessato. E’ certa, perché bonariamente confessato proprio da padre Angelo, la sua rinuncia alla porpora cardinalizia, poiché l’alto incarico lo avrebbe impegnato in altri uffici poco conciliabili col servizio ai suoi poveri.

Il volto di Cristo nei sofferenti

Sensibile alle sofferenze degli ammalati, era divenuto esperto nel modo di curarli e negli stratagemmi da usare per servirli amorevolmente. Preferiva ordinariamente le ore, durante le quali questi avevano bisogno dei servizi più umili; si fermava più a lungo dai più soli e dai più gravi. A quanti erano tristi e depressi per il loro male, raccontava aneddoti allegri e divertenti e introduceva nell’ospedale compagnie di suonatori e cantori; era convinto, infatti, che il buon umore dei malati favorisse la loro guarigione. Portava loro in dono frutta, dolciumi e piccoli scacciapensieri.

L’abbandono alla divina provvidenza

La carità che spingeva p. Angelo a spendere la propria vita per i poveri era sostenuta e illuminata dalla speranza teologale vissuta nel totale abbandono in Dio e nella fiduciosa attesa delle suo intervento salvifico per il sostentamento dei poveri, che non poteva dipendere dalle sue povere risorse o da quelle dei suoi benefattori. Il suo atteggiamento umile da bambino che rivolge lo sguardo al Padre con fiducia di essere esaudito gli dava la libertà di dare senza misura ai poveri, sapendo che avrebbe ricevuto in abbondanza, senza dover chiedere nulla ad alcuno.

La beatificazione

Lo scorso 25 aprile 2010, nella Basilica di S. Giovanni in Laterano a Roma, Padre Angelo Paoli, è stato proclamato Beato.

Opere

Esortazioni e pensieri

Chi ama Dio non ha miglior riposo di quello di san Giovanni, cioè riposare sul petto di Cristo per mezzo dell’orazione

“Vi amo o mio Gesù, e voglio amarvi sempre più”. Dite queste parole, ma con tenerezza di cuore. (A chi gli chiedeva come pregare).

Studiassero pure (i predicatori): ma ancora grandi orazioni sono necessarie, perché queste valgono molto più che lo studio.

Conviene domandare con tutta umiltà a Dio che quando ci succedono di quest’incontri [il Padre Priore aveva umiliato P. Angelo] ci conceda la santa pazienza e fortezza di sopportarli per amor suo. Il soffrire in questo mondo per amor di Dio, è un dolcissimo contento e quanto più un’anima ama Iddio tanto più gode e non prova dolore per quello che soffre, anzi un sommo godimento.

Che bella sorte morire per la fede! Che bella grazia dare il sangue perché il Signore sia riconosciuto ed adorato dalle genti!

Sarebbe un grand’errore che, stando esposto Nostro Signore nella nostra Chiesa, non vi fosse qualche sacerdote ancora ad adorarlo. (A chi lo rimproverava per aver trascorso la notte nel “coretto” di S. Martino in adorazione).

Poche parole, è tempo di preghiera. S’avvicina la memoria di un gran Mistero. Bisogna ringraziare il Signore di questo grandissimo beneficio, che ci ha fatti degni di credere in questi misteri così certi e sublimi. (A un amico che lo cercava prima della Celebrazione Eucaristica).

Forse che ha potuto far più un Dio amorosissimo verso l’uomo, che racchiudersi nel Santo Ciborio sotto le specie eucaristiche per cibare la nostra anima con la sua carne e farla partecipe in terra, anticipatamente, del suo Paradiso? In ogni chiesa si deve entrare per adorarlo e ringraziarlo con tutta umiltà.

Gran dignità, gran potestà, far scendere un Dio dal Cielo in terra, liberare un’anima dal purgatorio e mandarla in Paradiso.

Questo carattere è stato impresso da Gesù Cristo: porta rispetto ai sacerdoti se non vuoi provare il castigo di Dio! (Ad un uomo che aveva dato uno spintone a due sacerdoti).

Considerate bene lo stato e grado di ministri di Dio, del quale vi trovate onorati. Siete tenuti, perciò, a custodirvi bene per mantenervi puri. Guai a quei sacerdoti che si accostano al santo sacrificio con la coscienza imbrattata. (Parlando ad alcuni sacerdoti).

Povera gente, mi credono quale non sono. Se mi conoscessero pregherebbero per me, poiché in me non c’è alcunché di buono se non il carattere sacerdotale e l’abito di Maria Vergine.

Quando Dio ci visita con le infermità, con la povertà, con le tribolazioni o con qualche altra disgrazia, ci vuole purificare dai nostri peccati e difetti, perché ci ama. È per questo che ci fa queste visite. Bisogna, dunque, sopportarle volentieri per amore suo e accoglierle come penitenza per i nostri peccati. Anzi, bisogna supplicarlo affinché ce ne invii di più grandi, se così piace a Sua Divina Maestà.

Abbiate una ferma fiducia in Dio ed otterrete da lui quel che volete, poiché il domandare a Dio con fiducia e sincerità le grazie è l’unica ed infallibile strada per ottenere ciò che uno osa desiderare. Ve lo dico di cuore: lo so per esperienza.

La mia fiducia è unicamente appoggiata alla divina provvidenza. Mai ho domandato cosa alcuna alla gente: chi veramente si fida di Dio non ha avidità né di domandare, né di ricevere.

Ho ferma fiducia in Dio che, avendomi sempre provvisto, mi aiuterà con la sua divina Provvidenza. È gran vergogna che avendoci dal niente creati e con il suo sangue redenti, vogliamo fargli il torto di non credere ch’Egli possa provvederci a sufficienza.

Io darò sempre ai poveri quanto avrò in mio potere, perché ho speranza in Dio, che ogni giorno più mi abbonderà e sovverrà. E non solo a me, ma a tutti coloro che hanno speranza nel suo santo volere. E badate bene, che, per questa stessa speranza che io ho unicamente in Dio, senza chiedere cosa alcuna e senza confidare nell’uomo, Dio ispira il medesimo uomo di soccorrermi in modo tale che abbondo in tutte le cose per sovvenire il mio prossimo.

Io ho un gran Provveditore, io ho una gran dispensa e perciò darò sempre ai poveri quanto avrò, perché ho una ferma speranza in Dio che la roba ogni giorno mi crescerà.

Sciocco che sei: tu ti regoli con le misure della prudenza umana. Sappi che è più ricco un povero fraticello quando confida vivamente in Dio che tutti li banchieri del mondo. (Ad uno che lo rimproverava per la sua avventatezza che avrebbe dato fastidio ad un ricco banchiere che cercava di dissuaderlo dall’aprire il convalescenziario).

Senza niente e senza che abbia chiesto niente, l’Ospizio è giunto al punto in cui lo vedete. Eppure ho dato l’elemosina a chiunque mi è venuto fra i piedi e così accadrà in seguito. Confidate anche voi in Dio, che senza tanti consigli, le cose andranno bene.

Vengano pure quanti poveri sono in Roma ché non mi danno fastidio, perché quanto più vengono i poveri tanto più la santa Provvidenza di Dio mi manda con che provvederli. Vorrei che i poveri avessero timor di Dio e pregassero per i loro benefattori.

Avvertimenti spirituali

Vivere conformato al volere di Dio, con ferma intenzione di fare sempre la sua santa volontà e di compiacerlo in tutti li nostri affari, senza desiderare cosa alcuna terrena, dando per tal cagione bando al proprio volere con la negazione della propria volontà e questo si adempirà in due maniere.

Prima cosa non cercare mai in cosa alcuna se stesso, né il proprio comodo, soddisfazione e gusto, né alcun altra contentezza sia corporale come spirituale, ma la pura e semplice volontà di Dio benedetto.

Secondariamente con essere puntuale nelle obbedienze e uffici che fossero imposti dai superiori e nell’osservanza regolare ed atti di comunità, frequentando il coro più che sia possibile, confidando sempre nella bontà del Signore e diffidando di se stesso. Altrimenti facendo, non sarebbe amore, né cercare Iddio per Dio, ma se stesso, mentre ogni qual volta si pretende nelle cose il nostro gusto e soddisfazione si viene a servire il Signore come pare e piace a noi e non come Egli vuole, tutto inganno grande dell’anime e ci devia molto dal progresso delle virtù e pace interna.

E tutto questo si faccia con allegrezza di cuore, tenendo lontano da esso qualunque dubbio o scrupolo che lo potesse inquietare; sempre però con la dipendenza dal suo Padre spirituale, al quale si deve manifestare tutto l’interno del suo cuore, come in luogo di Dio, fermamente tenendo che quanto egli ordina e dice sia detto e ordinato da Dio per bocca di lui, perché così mediante la sua fede, Iddio si comunicherà maggiormente al Padre spirituale e per esso il Signore guiderà l’anima allo stato della perfezione con gran giubilo del cuore.

Non si noti mai alcun difetto di creatura mortale né si riprenda se prima non si ha cognizione di essere da meno di quella. Si abbia una mente tanto buona che da tutto quello che si vede nei suoi prossimi, eziandio dall’istesso male, se ne cavi bene.

Bisogna essere ritirato, considerato e circospetto nel parlare e di tutti si parli come si vorrebbe si parlasse della propria persona. Nei propri travagli ed afflizioni paziente e muto. Mortificarsi continuamente in qualche cosa; discretamente però e col consiglio del p. spirituale e fuggire qualunque singolarità esterna.

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Aprile, 2024