Gioia

Autore Agostino d’Ippona s.

Questa gioia completa di cui parla (l’evangelista), non è certamente una gioia carnale, ma è la gioia spirituale; e sarà completa solo quando ad essa non ci sarà più nulla da aggiungere (Cfr.: Gv 16,24.). Qualunque cosa dunque si chiede in ordine al conseguimento di questa gioia, la si deve chiedere nel nome di Cristo, se davvero comprendiamo il valore della grazia divina, se davvero chiediamo la vita beata. Chiedere altra cosa, è chiedere nulla; non perché ogni altra cosa sia nulla, ma perché qualunque altra cosa si possa desiderare è, in confronto a questa un nulla.[…], tuttavia in confronto con l’uomo spirituale, che sa di essere quello che è per grazia di Dio, chiunque aspira a cose vane, è nulla. (AGOSTINO D’IPPONA S. Commento al Vangelo di Giovanni, Ed. Città nuova 2005. Omelia 102,2 p. 1055).

 

Autore Paolo VI papa

 Dopo venti secoli, questa sorgente di gioia non ha cessato di zampillare nella Chiesa, e specialmente nel cuore dei santi. […]. Nella vita dei figli della Chiesa, questa partecipazione alla gioia del Signore non si può dissociare dalla celebrazione del mistero eucaristico, ov’essi sono nutriti e dissetati dal suo Corpo e dal suo Sangue. Di fatto, in tal modo sostenuti, come dei viandanti sulla strada dell’eternità, essi già ricevono sacramentalmente le primizie della gioia escatologica.

Collocata in una prospettiva simile, la gioia ampia e profonda, che fin da quaggiù si diffonde nel cuore dei veri fedeli, non può che apparire «diffusiva di sé», proprio come la vita e l’amore, di cui essa è un sintomo felice. Essa risulta da una comunione umano-divina, e aspira a una comunione sempre più universale. In nessun modo potrebbe indurre colui che la gusta ad una qualche attitudine di ripiegamento su di sé, Essa dà al cuore un’apertura cattolica sul mondo degli uomini, mentre gli fa sentire, come una ferita, la nostalgia dei beni eterni […].

Essa fa loro attivamente affrettare il passo verso la consumazione celeste delle Nozze dell’Agnello (Ap 19,7). Essa è in serena tensione tra l’istante della fatica terrena e la pace della Dimora eterna, conforme alla legge di gravità propria dello Spirito: «Se dunque, già fin d’ora, noi gridiamo “Abba, Padre!” perché abbiamo ricevuto questi pegni (dello Spirito di figli), che cosa sarà mai, quando, risuscitati, noi lo vedremo a faccia a faccia? Quando tutte le membra, a ondate riversantisi, faranno sgorgare un inno di esultanza, glorificando Colui che le avrà risuscitate dai morti e gratificate dell’eterna vita? […]. che cosa non farà mai la grazia completa dello Spirito, quando sarà data definitivamente da Dio agli uomini? Essa ci renderà simili a lui e compirà la volontà del Padre, perché renderà l’uomo a immagine e somiglianza di Dio» (Ireneo di Lione; 2Cor 5,5; Gal 4,6; 1Cor 13,12; Gen 1,26). Fin da quaggiù, i santi ci danno un pregustamento di questa somiglianza. (PAOLO VI, PAPA, Esortazione apostolica «Gaudete in Domino», § 4, Libreria Editrice Vaticana.

 

Autore Merton Thomas

La sola, vera gioia sulla terra consiste nell’evadere dalla prigione del nostro falso io e di unirci, mediante l’amore, alla Vita che dimora e canta nell’essenza di ogni creatura e nell’intimo della nostra stessa anima. Nel Suo amore possediamo ogni cosa, godiamo di ogni cosa, perché in ogni cosa troviamo Lui. Così, mentre siamo nel mondo, tutto ciò che incontriamo, tutto ciò che vediamo, sentiamo e tocchiamo, lungi dal contaminarci ci purifica e semina in noi un po’ più di contemplazione e di cielo.

Mancando questa perfezione, le cose create non ci danno gioia, ma dolore. Fino a quando non amiamo Dio in modo perfetto, tutto ciò che è al mondo sarà in grado di recarci dolore. E la più grande sciagura è quella di essere morti al dolore che le cose ci infliggono, e di non comprendere che cosa esso sia.

Perché fino a quando non giungiamo ad amare Dio in modo perfetto, il Suo mondo è pieno di contraddizione. Le cose che Egli ha creato ci attirano a Lui, eppure ci tengono lontani da Lui. Esse ci attraggono e ci uccidono. E noi Lo troviamo in esse sino ad un certo punto, poi non Lo troviamo affatto. […].

La pienezza di gioia che troviamo nelle creature appartiene alla realtà dell’essere creato, una realtà che viene da Dio e appartiene a Dio e riflette Dio. L’angoscia che troviamo in esse appartiene al disordine del nostro desiderio, che cerca nell’oggetto del nostro desiderio una realtà più grande di quella che esso realmente possegga, una pienezza maggiore di quanto qualsiasi cosa creata è capace di dare. Invece di adorare Dio attraverso il Suo creato, noi cerchiamo sempre di adorare noi stessi nelle creature.

Ma adorare il nostro falso io è adorare il nulla. E adorare il nulla è l’inferno. (MERTON T., Semi di contemplazione, B. TASSO – E. LANTE ROSPIGLIOSI (Edd), Ed. Garzanti, 1991, pp. 29-30).

 

Autore Giovanni Paolo II S.

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