Peccato

Autore Merton Thomas

PECCATO ORIGINALE – La storia della caduta di Adamo e della sua cacciata dal Paradiso ci dice, in termini simbolici, che l’uomo era stato creato come essere contemplativo. La caduta dal Paradiso fu una caduta dall’unità. L’uomo è caduto dall’unità della visione contemplativa nella molteplicità, nella complicazione e nella distrazione di un’esistenza attiva, mondana. Dipendendo ormai completamente dalle cose esteriori e contingenti, è diventato un esiliato in un mondo di oggetti, ciascuno dei quali capace di deluderlo e renderlo schiavo. Non più centrato su Dio e sul suo io più interiore, spirituale, l’uomo doveva ora vedersi e avere consapevolezza di sé come se fosse diventato il dio di se stesso. Doveva studiarsi come una specie di pseudo-oggetto, dal quale era estraniato. E per compensare le fatiche e le frustrazioni di questo estraniamento, deve cercare di ammirare, affermare e gratificare se stesso a spese degli altri, simili a lui. Di qui il complesso e doloroso sistema di amori e odi, desideri e timori, menzogne e scuse del quale siamo tutti prigionieri. In una condizione del genere, la mente dell’uomo è resa schiava da una preoccupazione inesorabile verso tutto ciò che è esteriore, transeunte, illusorio e insignificante. E trascinato via dalla sua ricerca di ombre e forme aliene, egli non riesce più a vedere la sua vera «faccia» interiore, o riconoscere la sua identità nello spirito e in Dio, perché quell’identità è segreta, invisibile e incomunicabile. Ma l’uomo ha perso il coraggio e la fede senza di cui non può essere soddisfatto di essere «non visto». Egli dipende pietosamente dall’auto-osservazione e dall’autoaffermazione. E cioè, egli è completamente esiliato da Dio e dal suo stesso io vero, dal momento che né in Dio e neppure nel nostro io più profondo ci può essere qualche autoaffermazione aggressiva: c’è solo la semplice presenza dell’amore e della verità. (MERTON T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 74).

 

 

Autore Merton Thomas

PURIFICAZIONE DAL PECCATO – L’io interiore è  «purificato» dal riconoscimento del peccato, non perché l’io interiore sia la sede del peccato, ma perché tanto la nostra peccaminosità quanto la nostra interiorità tendono ad essere rifiutate in uno stesso e unico movimento dell’io esteriore e ad essere relegate nella stessa oscurità; e così, quando l’io interiore è riportato alla luce, il peccato emerge e viene liquidato dall’assunzione di responsabilità e dal pentimento. Perciò l’uomo con una visione  «sacra» è qualcuno che non ha bisogno di odiare se stesso, e non ha mai paura né vergogna di rimanere con la propria solitudine, perché in essa è in pace, e per mezzo di essa può giungere alla presenza di Dio. Di più, è in grado di uscire dalla solitudine per trovare Dio negli altri uomini. E cioè, nei suoi rapporti con gli altri, non ha bisogno di identificarli con i loro peccati e di condannarli per le loro azioni, perché è in grado di vedere anche in essi sotto la superficie e di percepire la presenza di quell’io interiore e innocente che è l’immagine di Dio. (MERTON T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 104).

 

Autore Caterina da Genova

PECCATO MORTALE – Vedi Inferno, pena limitata.

 

Autore Caterina da Genova

Oh quanto è pericoloso il peccato fatto con malizia: perché l’uomo difficilmente se ne pente, e non pentendosi, sempre sta la colpa; la quale tanto persevera, quanto l’uomo sta nella volontà del peccato commesso o di commetterlo!  (CATERINA DA GENOVA s., Il Trattato Del Purgatorio, V. 3 ).

 

Autore Guglielmo di Saint-Thierry

In questo, infatti, consiste ogni suo peccato (Sposa): di usare male e di godere male, quando ama una qualunque cosa o il prossimo o se stesso non per valersene – come si è detto – per giungere a te, ma per goderla in se stesso. E benché sia del prossimo che di se stessi si debba godere ma non lo si può se non in te, di te invece, o vita delle vite e bene di tutti i beni, si può godere sia in te che in se stessi. (GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, Commento al Cantico dei Cantici, C. Falchini (Ed), Quiqajon 1991, pp. 45-46).

 

Autore Merton Thomas

PECCATO E SENSO DI COLPA – Il primo passo verso la liberazione spirituale non è tanto la consapevolezza di ciò che si trova alla fine del percorso – l’esperienza di Dio – quanto piuttosto una visione chiara del grande ostacolo che blocca proprio il suo inizio. Quell’ostacolo si chiama peccato. Una grande realtà, un mistero davvero grande. Tanto la realtà quanto il mistero del peccato sembrano essere diventati inaccessibili all’umanità, che ora ne sembra impregnata. L’«innocenza» senza speranza dell’uomo moderno, che è così pieno di peccato da non provare più contrizione ed è consumato dal senso di colpa solo nei confronti di ciò che è relativamente inoffensivo, è uno dei più strazianti misteri del nostro tempo.

È importante distinguere bene tra peccato e colpa. La colpa provoca una sensazione di oppressione dall’esterno, un’ansia che si prova quando si pensa di essere chiamati a rendere conto per una cattiva azione. L’ansia legata alla colpa è un segno di alienazione morale. Essa diventa attiva in noi quando interiorizziamo un rimprovero suggerito dalla presenza di un’autorità di cui abbiamo violato i comandi. Il senso di colpa è, quindi, una sensazione di male sia fisico che spirituale. Mi sento in colpa quando penso che qualcun altro ritenga che io abbia sbagliato. E l’ansia legata alla mia colpa aumenta se segretamente intendo manifestare il mio disaccordo con il suo giudizio, ma non oso nemmeno provare il disaccordo.

Il senso del peccato è qualcosa di più profondo e più esistenziale. Non è puramente un senso di colpa in riferimento all’autorità di Dio. È un senso del male in me stesso. Non perché abbia violato una legge a me esterna, ma perché ho violato le leggi più profonde del mio stesso essere, che sono, nello stesso tempo, le leggi di quel Dio che dimora in me.

Il senso del peccato è il senso di essere stato profondamente e deliberatamente falso nei confronti della mia stessa realtà più profonda, la mia somiglianza con Dio. Il peccato è un male e un’infermità radicale dello spirito. Avere un senso del peccato significa rendermi conto che sono morto non solo moralmente ma anche spiritualmente. Ma la morte spirituale è la sensazione di essermi separato dalla verità a causa di una totale falsità interiore, dall’amore a causa dell’egoismo, dalla realtà cercando di affermare come reale una volontà inconsistente. Il senso del peccato è, quindi, qualcosa di ontologico e immediato che non scaturisce dalla riflessione sulle mie azioni e dal confronto con un codice morale: esso mi dice non solo che mi sono comportato in modo sbagliato, ma che io stesso sono sbagliato, completamente. Che sono un essere falso. Che ho distrutto me stesso. Perché il peccato è autodistruzione spirituale. E la cosa terribile è che se il nostro corpo muore solo una volta, il nostro spirito, una volta morto, può essere ucciso un’altra volta, e un’altra volta ancora. Essere nel peccato e continuare a peccare significa iniziare la vita di un’anima nell’inferno, che è morte perpetua e perpetuamente ripetuta. (MERTON THOMAS, L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, pp. 195-197).

 

Autore Merton Thomas

SENSO DEL PECCATO – Senza il senso del peccato e la conseguente comprensione e accettazione della privazione, della sofferenza e del sacrificio di sé, la vita contemplativa non sarà nient’altro che auto-indulgenza spirituale, senza valore e senza realtà. Tutto questo è reso in termini semplici e concreti dalla Scrittura: «Il timore del Signore è l’inizio della sapienza» (Sal 111,10). Il timore del Signore, il timore reverenziale di fronte al mistero di Dio e al mistero del male che sta come un muro tra noi e lui, è l’inizio della saggezza contemplativa, che si trova al di là del muro. La saggezza è, in questo senso, «al di là del bene e del male», perché è al di là del muro che separa il nostro spirito dallo Spirito divino. (MERTON THOMAS, L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 203).

 

Autore Agostino d’Ippona s.

I delitti miei mi contaminano, quelli degli altri mi addolorano: da questi purificami, da quelli perdonami. Sradica dal mio cuore ogni desiderio cattivo, tieni lontano da me l’iniquo tentatore. Questo è appunto il significato delle parole: Dai miei peccati nascosti purificami, o Signore, da quelli degli altri salva il tuo servo. (AGOSTINO D’IPPONA S., Commento ai salmi di lode, Ed. Paoline 1986, p. 33).

 

Autore Moliniè M. D.

MISTERO DEL PECCATOLa dimensione infinita dello spirito comporta conseguenze pratiche temibili. Il mistero del peccato nasce dalla duplice dimensione della vita di ogni spirito, paragonabile alla tastiera del pianoforte. La dimensione positiva, ovvero attiva (i tasti bianchi) che si radica nella natura con i suoi limiti, e la dimensione passiva ovvero ricettiva (i tasti neri) senza limiti: la capacità di accogliere Dio. Dare la preferenza a Dio nella nostra vita significherà allora dare la preferenza a questa passività.

Da qui prende senso un certo numero di parole: silenzio, attesa, pazienza, consenso, lasciarsi fare; tutti questi atteggiamenti hanno valore perché soltanto essi ci permettono di ricevere Dio e di riflettere l’infinito. La nostra vita è la storia della lotta fra la nostra attività e il silenzio. (MOLINIÉ M. D., Il coraggio di avere paura, Ed. Parva 2006, pp. 40-41).

 

Autore Merton Thomas

SUPPICA PENITENZIALE – (Signore) tienimi lontano soprattutto dal peccato. Tienimi lontano dalla morte del peccato mortale che mette l’inferno nella mia anima. Tienimi lontano dal delitto della lussuria che acceca ed avvelena il mio cuore. Tienimi lontano dai peccati che divorano con fuoco irresistibile la carne dell’uomo fino a distruggerlo. Tienimi lontano dall’amore del denaro che è odio, dall’avarizia e dall’ambizione che soffocano la mia vita. Tienimi lontano dalle morte opere di vanità e dall’ingrata fatica in cui gli artisti si distruggono per orgoglio, denaro e reputazione, in cui i santi rimangono soffocati sotto la valanga del loro zelo importuno. Rimargina in me la profonda ferita della cupidigia e degli appetiti, che con il suo stillicidio di sangue esaurisce la mia natura. Schiaccia il serpente dell’invidia che avvelena l’amore e uccide ogni gioia.

Scioglimi le mani e liberami il cuore dall’indolenza. Liberami dalla pigrizia che si traveste di attività quando l’attività non mi viene richiesta, liberami dalla viltà che fa ciò che non è richiesto, per evitare il sacrificio.

Ma dammi la forza che si mette al Tuo servizio nel silenzio e nella pace. Dammi l’umiltà in cui soltanto è riposo, e liberami dall’orgoglio che è il più pesante dei fardelli. E possiedi tutto il mio cuore e tutta la mia anima con la semplicità dell’amore. Occupa tutta la mia vita con l’unico pensiero e desiderio dell’amore, perché io possa amare non per amore del merito, non per amore della perfezione, non per amore della virtù, non per amore della santità, ma per Dio solo. Giustifica la mia anima, o Dio, ma insieme col Tuo fuoco infiamma la mia volontà. Risplendi nella mia mente, sebbene forse ciò significhi «sii tenebra per la mia esperienza», ma occupa il mio cuore con la Tua meravigliosa vita. Fa’ che i miei occhi vedano nel mondo soltanto la Tua gloria, che le mie mani non tocchino cosa che non sia per il Tuo servizio. Fa’ che la mia lingua non gusti pane che non mi fortifichi per lodare la Tua grande misericordia. Sentirò la Tua voce e sentirò tutte le armonie che Tu hai creato, cantando i Tuoi inni. (MERTON T., Semi di contemplazione, B. TASSO – E. LANTE ROSPIGLIOSI (Edd), Ed. Garzanti, 1991, p. 43).

 

Autore Rupnik Marco Ivan

Il peccato interviene nella relazionalità, perverte la relazione, perché perverte l’amore. Anzi, il peccato è possibile solo perché Dio è l’Amore, e l’amore è libero e include anche la possibilità della ribellione, della negazione, della non accoglienza. Il peccato è interruzione della relazione, è isolamento, è chiusura, è fare del proprio io l’epicentro dell’universo, del creato, cioè delle cose e di tutte le relazioni.
Così viene infranto in modo tragico l’insieme, l’armonia, la percezione della tuttunità , viene oscurato il sentimento di appartenenza , spento il senso della comunità, dimenticata la fratellanza. Il peccato porta a non vedere più l’altro come persona reale, libera nella sua oggettività, indipendentemente da me. Il peccato introduce la categoria dell’uso, il calcolo dell’interesse e l’altro diventa un oggetto. Anzi, l’uomo, come tale, si trasforma in oggetto . tutto diviene reificato, morto. Si perde il volto, si dimenticano i tratti del volto, gli sguardi, le mani. Il peccato è oblio, e l’oblio è il fiume che inghiottisce i morti, che fa sparire, che porta via definitivamente.
Senza un rapporto di unità e allo stesso tempo di distanza rispetto a ciò che si vuole conoscere, non si può rettamente conoscere. Il peccato porta infatti alla ignoranza (agnosia), alla non conoscenza e addirittura alla impossibilità di conoscere. […]. Il peccato distrugge la relazionalità, perché perverte l’amore. Ma con ciò si distrugge la verità dell’uomo, la sua autentica identità.
La tentazione perenne è allora quella di elaborare tale identità con filosofie, convinzioni e teorie le più diverse.
Ma, per riscoprire la propria verità ci vuole la redenzione dal peccato. L’uomo non può togliersi da solo il peccato, né ricostruire ciò che il peccato ha distrutto. O scopre la propria verità in Cristo redentore, e con Lui si ritrova inserito in una relazionalità sanata, oppure continuerà a crearsi dei modelli, degli ideali di se stesso sulla base dei quali si giudicherà un riuscito o un fallito, un realizzato o uno sconfitto. […].
Ma non si può conoscere se stessi da soli, perché per conoscersi bisogna recuperare la capacità di relazionarsi in maniera libera, di poter avere verso di noi, verso il mondo, verso gli altri, e persino verso il tempo, un rapporto non possessivo, non di dominio, non di uso. (RUPNIK MARKO IVAN, L’esame di coscienza. Per vivere da redenti, Lipa Srl 2020, pp. 26-27).

 

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Aprile, 2024