Grou Jean Nicolas (1731-1803) – Manuale delle anime interiori

La parola devozione che è latina, corrisponde a quella di offerta, dedicazione; sicché una persona devota può definirsi: una persona che si è dedicata interamente a Dio. Non vi è espressione più forte di questa per dimostrare la prontezza dell’anima in voler tutto fare e soffrire per Quegli al quale si è dedicata. Tale disposizione riguardo alle creature è necessariamente limitata, non così riguardo a Dio. Non è, né può essere, che uno gli sia di soverchio devoto, dacché la menoma riserva od eccezione lo spoglierebbe affatto di questo titolo. La vera e solida devozione è dunque quella disposizione dell’animo, che ci rende pronti a fare e a soffrire, senza eccezione né riserva, tutto ciò che unirà nei disegni del Divino Volere: questa disposizione è il più eccellente dono dello Spirito Santo. Non ci sarà mai pericolo di eccedere nella frequenza e nell’ardore del chiederla perché non sarà mai lecito lusingarsi di possederla in tutta la sua perfezione, potendo essa sempre crescere così in se stessa, come nei suoi effetti. Ciò posto, ben si vede che la devozione è qualche cosa d’interno anzi d’intimo, poiché ella interessa proprio il fondo dell’anima e ciò che in essa vi è di più spirituale, l’intelletto cioè o la volontà. La devozione non sta nel discorso, nell’immaginazione, né in ciò che è sensibile, no, non è già uno devoto precisamente perché è in grado di ragionare bene sulle cose di Dio, perché ha delle vaste idee, dei bei pensieri sugli oggetti spirituali, non perché si sente alle volte intenerito fino alle lacrime. Si vede inoltre che la devozione non è passeggera, ma bensì abituale, permanente, stabile, che si estende ad ogni istante della vita e deve regolarne tutta la condotta. La prima base della devozione è questa: che essendo Dio l’unica sorgente e l’autore unico della santità, la creatura ragionevole deve dipendere in tutto da Lui e lasciarsi assolutamente governare dal di Lui spirito. Bisogna che ella sia sempre unita a Dio con l’intimo del cuore, sempre attenta ad ascoltarlo entro di sé, sempre fedele a compiere ciò che ad ogni momento Egli da lei richiede. E’dunque affatto impossibile l’essere veramente devoto, senza esser dato alla vita interna, al raccoglimento, senza esser avvezzo a rientrare in sé, o per meglio dire a non uscirne mai e a possedere l’anima propria in pace. Chiunque si dà a soddisfare i sensi, l’immaginazione, le passioni, non dico già solo nelle cose peccaminose, ma anche in quelle che non sono cattive in se stesse, non sarà mai devoto, poiché il primo effetto della devozione è di soggiogare i sensi, l’immaginazione e le passioni e di non permettere mai che seco traggano la volontà. Chiunque è curioso, soverchiamente sollecito, bramoso di spargersi al di fuori, d’avere ingerenza negli affari altrui, non può abitare con se stesso: chiunque è critico, negligente, motteggiatore, violento, sprezzante, altero, delicato su tutto ciò che ferisce l’amor proprio; chiunque è attaccato ai suoi sensi, ostinato, cocciuto, schiavo del rispetto umano, dell’opinione e per conseguenza debole, incostante, volubile nei suoi principi e nella sua condotta, non sarà giammai devoto nel senso che ho espresso. Il vero devoto è un uomo d’orazione, il quale trova le sue delizie nel trattenersi con Dio, che non perde mai o quasi mai la sua presenza, non già ch’ei pensi sempre a Dio, ciò è impossibile quaggiù, ma perché gli è continuamente unito col cuore e si lascia regolare in tutto dal divino suo spirito. Per fare orazione egli non abbisogna né di libro, né di metodo, né di sforzi d’immaginazione e neppure di quelli della volontà. Non ha che da rientrare dolcemente in se stesso e si trova in Dio, vi trova la pace, alle volte saporosa, altre volte secca, ma sempre intima e reale. Egli preferisce ad ogni altra l’orazione nella quale può dar molto a Dio e soffrire, l’orazione in cui l’amor proprio, non trovando pascolo alcuno, va lentamente consumandosi, in una parola l’orazione semplice, nuda, vuota di immagini, di sentimenti avvertiti e di tutto ciò che l’anima può scorgere o sentire in ogni altra specie d’orazione. Il vero devoto si studia d’adempiere perfettamente tutti i doveri del suo stato e tutti i giusti riguardi dovuti alla società. Egli è fedele ai suoi esercizi di devozione, ma non se ne fa schiavo, li interrompe, li sospende, li lascia pur anche per un tempo, qualora la necessità o la convenienza lo esiga. Purché egli non faccia la propria volontà è sempre sicuro di far quella di Dio. Il vero devoto non va in cerca delle opere pie, ma aspetta che gliene si presenti l’occasione. Fa tutto ciò che dipende da lui pel buon esito di quelle, ma ne abbandona il successo a Dio. Egli ama di preferenza, è vero, quelle opere buone che sono più oscure, ma non fugge nemmeno quelle che hanno dello splendore quando la gloria di Dio e l’edificazione del prossimo vi sono interessate. L’uomo devoto non si sovraccarica di preghiere vocali e di pratiche che non gli lascino il tempo di respirare, egli conserva sempre la libertà di spirito, non è né scrupoloso, né inquieto sopra se stesso, cammina con semplicità e confidenza. Egli è deciso di nulla ricusare a Dio e nulla accordare all’amor proprio, di non commettere nessun diretto volontario, ma tutto questo senza cavilli. Procede con scioltezza, non è minuzioso, e se cade in qualche fallo non si turba, ma se ne umilia, si rialza e più non vi pensa. Le sue debolezze ed imperfezioni non lo sorprendono, né si scoraggia per quelle giammai. Sa che da per sé ei nulla può, ma che Dio può tutto, non calcola per conseguenza minimamente sui suoi buoni propositi e le sue risoluzioni, ma s’appoggia tutto sulla grazia e la bontà di Dio. E cadesse pure cento volte al giorno, non si desolerebbe per questo mai, ma stenderebbe amorosamente le mani a Dio pregandolo di rialzarlo e di avere pietà di lui. Il vero devoto ha orrore del male, ma è ancora più grande il suo amore pel bene. Ei pensa più a praticare la virtù, che non ad evitare il vizio. È generoso, magnanimo e quando si tratta d’esporsi pel suo Dio, non teme le ferite. In una parola egli è più desideroso di fare il bene a rischio di commettere qualche imperfezione che non di ometterlo per evitare di peccare. Non v’è nulla che sia più amabile nel commercio della vita di un vero devoto. Egli è semplice, retto, aperto, senza pretese, dolce, preveniente, solido e verace, la sua conversazione è allegra, interessante, ei sa prendere parte ai leciti divertimenti, spinge anzi la condiscendenza quanto lungi gli è possibile, salva la coscienza. Si dica pure ciò che si vuole, la vera devozione non è punto triste, né per sé, né per gli altri. E come potrebbe esser triste colui che gode continuamente del vero, dell’unico bene dell’uomo? Le passioni sì sono tristi: l’avarizia, l’ambizione, l’amore. Ed è per trovare diversivo al cruccio con cui esse tormentano il cuore che l’uomo si getta con furore nei piaceri tumultuosi dei sensi, i quali esauriscono, ma non saziano l’anima. Chiunque si dedica come si conviene al servizio di Dio, sperimenterà quanto sia vera questa sentenza, che servire a Dio è regnare, fosse pur anche nella povertà, nell’ignominia e nelle sofferenze. Tutti coloro che qui in terra cercano la loro felicità fuori di Dio, tutti, senza eccezione, verificano queste parole di Sant’Agostino: il cuore dell’uomo, fatto per Dio, sarà sempre agitato, finché non si posi in Lui.

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