Guglielmo di Saint-Thierry ( 1085 – 1148)

Cenni biografici

Guglielmo di Liegi, nato da nobile famiglia intorno al 1085, si reca per gli studi superiori a Reims, allora considerata come la prima e più illustre città della Francia, presso la scuola dell’abbazia di San Nicasio, dove ritornerà per prendere l’abito benedettino dieci anni dopo, nel 1113 a circa trent’anni. Completa gli studi a Laon, attratto dalla fama di Anselmo d’Aosta, alla cui scuola apprende il metodo esegetico e acquista fiducia nella ragione, che s’incarnerà nelle sue opere teologiche, maturata nell’esperienza dell’intelletto illuminato, la sola istanza capace di rispondere alle pretese razionalistiche del suo tempo sulla fede.

Nel 1119 a soli trentaquattro anni Guglielmo viene eletto abbate del monastero benedettino di Saint-Thierry, che lascerà nel 1135, ormai stanco delle fatiche di governo, per entrare da semplice monaco nell’abbazia cistercense di Signy. A Saint-Thierry la sua più grande preoccupazione fu certamente la conversione e la formazione dei suoi religiosi. Per attirare i novizi alla vita contemplativa scrive i suoi primi trattati, frutto di una già matura esperienza spirituale.

Spiritualità

L’abate di Saint Thierry occupa un posto particolare nella scuola cistercense, la sua teologia mistica, molto più ricca e articolata di quanto si è soliti pensare, ha meglio e più fortemente chiarificato il ruolo dell’intelligenza nella vita spirituale e l’intima collaborazione delle facoltà dell’anima sia intellettive, sia affettive, che sotto l’azione della grazia vivificante e unificante, fa sbocciare l’io interiore dell’uomo portandolo al suo pieno compimento, all’unità di spirito con Dio, vale a dire alla somiglianza intelligente e amante che rende l’uomo per grazia ciò che Dio è per natura.

Guglielmo delinea i ruoli propri della ragione e della fede, gli ambiti del loro sviluppo ed il loro rapporto felicemente mediato dal ruolo dell’amore, che per la prima volta viene assunto come elemento risolutivo nel conflitto tra filosofia e teologia; il mistero non può essere oggetto di semplice speculazione, ma di amorosa contemplazione. La nostra intelligenza è incapace di conoscere Dio, soltanto nell’eternità potremo contemplarlo così come egli è, faccia a faccia. Il nostro unico modo di conoscere è quello della fede. Questa comporta diversi gradi di conoscenza, che sarebbe temerario voler glissare per giungere più in fretta alla perfetta conoscenza di Dio; è proprio questa la tentazione della ragione che spesso aggredisce la fede, cercando di portarla sul proprio percorso, finché, costretta a riconoscere il proprio limite dinanzi alla trascendenza della maestà divina non rientra nel suo ruolo, per riprendere il cammino con più sicurezza, quanta glie ne guadagnerà il grado di umiltà.

La ragione

Guglielmo non disprezza il ruolo della ragione, anzi, come abbiamo già detto, egli stesso possiede una particolare inclinazione verso la conoscenza razionale, che ha suscitato la simpatia e l’amicizia con Abelardo e che non rinnega nella difesa dell’ortodossia della fede, anzi, proprio per il rispetto e la fiducia nella ragione, egli denuncia le scorrettezze dei razionalisti dialettici che sostituiscono la ragione alla fede, confondendone i ruoli e precludendo la conoscenza ad entrambe.

La ragione naturale non ha la possibilità di oltrepassare la soglia del mistero di Dio, né la fede di conoscere se non per speculum et in aenigmate, tuttavia la ragione sottomessa alla fede: ratio fidei viene innalzata dalla grazia illuminante e trasformata in un’intelligenza amorosa di Dio: intellectus amoris, alla quale la sapienza la eleva, conducendola attraverso le sue scorciatoie.

Conoscenza razionale – amore è un binomio che non ammette semplificazioni; mancando la speculazione razionale, infatti, si rischia di cadere nel fideismo e, mancando l’amore, la ragione si perde nei meandri di vuoti e devianti ragionamenti.

L’amore

Guglielmo distingue il desiderio, inizio dell’amore, dall’amore di fruizione; il primo innalza al secondo, generando la visione e la perfezione dell’amore, che si può definire come la consumazione della beatitudine nell’amore divino. La sorgente dell’amore è Dio stesso, quando noi amiamo Dio è per un sentimento che egli stesso ha infuso nel nostro cuore, questo non è altro che l’opera dello Spirito santo, amore del Padre e del Figlio, unità e volontà che inspira nell’anima la buona volontà e la trasforma in volontà veemente e bene ordinata, che così dà all’anima il possesso di Dio, poiché ognuno possiede nella misura in cui ama. La conoscenza di Dio è frutto dell’amore; chi non ama non conosce, come non hanno potuto conoscere Dio i filosofi pagani, non avendolo amato.

L’amore è il dono del Creatore alla creatura che, dopo la corruzione del peccato, ne ha perso l’insegnamento naturale e la capacità di ritornare al suo principio; è necessario, perciò che qualcuno insegni, non ad amare, ma a purificare l’amore. Dopo la genesi dell’amore Guglielmo ne descrive metaforicamente la crescita dall’infanzia alla senilità, cioè il progresso verso la carità e la sapienza. Per esaltare la grandezza dell’amore giunto alla sua piena maturità, Guglielmo pone una similitudine tra i sensi corporei e i sensi spirituali: la carità, vista dell’anima, possiede due occhi: la ragione e l’amore, che si affaticano insieme per vedere e conoscere i misteri di Dio.

L’amore, nato e allevato in Dio, soltanto da lui donato e che non è lecito donare ad altri che a lui, non è un dono fatto alla natura, ma soltanto a colui che, abbandonando la dissomiglianza causata dal peccato, si rivolge a Dio sotto l’impulso della grazia. L’uomo dunque deve elevarsi dall’amore naturale, corrotto dal peccato verso l’amore illuminato e perfetto: la carità, che Cristo è venuto ad insegnare e lo Spirito santo a donare. Nello Spirito si compie l’unione sponsale dell’anima col Figlio di Dio, che consiste nella divinizzazione, cioè nella trasformazione dell’anima dall’immagine alla somiglianza con Dio.

Guglielmo pone in rapporto dialettico le virtù teologali; l’amore e la speranza accompagnano la fede fin dal primo momento in cui essa si apre all’accoglienza della rivelazione, poiché non è possibile non amare ciò che si crede e si spera, ma soprattutto procura alla fede il merito di conoscere quello che crede amando. Il progresso della vita spirituale consiste nella crescita e trasformazione dell’amore umano nell’amore divino per l’azione della grazia illuminante. L’amore illuminato, che ha il potere di dilatare l’anima secondo la misura dell’oggetto amato, opera un’assimilazione tra l’amante e l’amato più profonda di quella che presiede ad un atto di intellezione; esso è una conoscenza e somiglianza che trascende le categorie naturali, per l’assimilazione dell’anima al movimento dell’amore trinitario e determina, più che una comunione di vita, una comunione d’essere.

L’amore è conoscenza

A questo vertice si colloca l’affermazione di Guglielmo: l’amore stesso è conoscenza (amor ipse intellectus est); l’amore dell’anima, elevato e trasformato a somiglianza dell’Amore stesso Dio, lo Spirito santo, è esso stesso conoscenza. L’amore conosce in quanto l’intelletto partecipa, per l’unificazione delle potenze dell’anima, alla comprensione (captatio) dell’amore che, custodisce e possiede in sé (intus) l’oggetto della sua gioia, e che non consiste nella conoscenza dei misteri della fede propria dell’intelletto illuminato, ma nella beatitudine della reciproca fruizione dell’amore con Dio, che si dà in una diversa ma non meno reale e vera conoscenza, quando all’intelletto è disponibile l’esperienza dell’amore.

Opere

-G. DI SAINT-THIERRY, Commento al Cantico dei Cantici, C. FALCHINI (Ed), Magnano 1991. (Epitalamio in appendice).

-G. DI SAINT-THIERRY, Opere/3, La contemplazione di Dio, Natura e valore dell’amore, Preghiere meditate, M. SPINELLI (Ed), Roma 1998.

-G. DI SAINT-THIERRY, Opere/1, Lo specchio della fede, L’enigma della fede, L’epistola aurea, M. SPINELLI (Ed), Roma 1993.

-G. DI SAINT-THIERRY, Vita di san Bernardo, M. SPINELLI (Ed), Roma 1997.

-De sacramento altaris, PL 180, 341-366

Citazioni

«Come da due braccia o da due mani, la sposa è stretta al cuore dello sposo. La ragione attira e l’amore abbraccia, mentre ciò che secondo ragione è scelto viene amato» «Bene tramite la destra è espressa l’acutezza della ragione, o della scienza razionale, della quale ugualmente si legge: Passeranno i tempi e molteplice sarà la scienza» (Commento al Cantico dei Cantici, n. 131 p.132)

«Due sono gli occhi della contemplazione: la ragione e l’amore. E secondo ciò che dice il profeta: “Le ricchezze della salvezza: la sapienza e la scienza” l’uno scruta secondo la scienza le cose umane, l’altro, invece, secondo la sapienza le cose divine. Quando poi sono illuminate dalla grazia si aiutano molto a vicenda, poiché, sia da un lato, l’amore vivifica la ragione, sia dall’altro, la ragione rischiara l’amore» (Commento al Cantico dei Cantici, n. 88, p. 102).

«La vista per vedere Dio – luce naturale dell’anima – creata dall’autore della natura, è la carità. Ora, in questa vista ci sono due occhi che palpitano continuamente, con una sorta di tensione naturale (dello sguardo), per vedere la luce che è Dio: l’amore e la ragione. Se uno dei due si sforza senza l’altro, non registra grandi progressi; se (invece) essi collaborano fra loro sono molto potenti perché, chiaramente, diventano un unico occhio, a proposito del quale lo Sposo dice nel Cantico: Mi hai ferito il cuore, amica mia, con uno solo dei tuoi occhi. Ora (questi occhi) si affaticano moltissimo, ognuno a suo modo. La ragione si trova in una maggiore sobrietà, l’amore in una maggiore beatitudine. Quando, però, cooperano l’uno con l’altra, la ragione istruisce l’amore e l’amore illumina la ragione. La ragione lascia spazio al sentimento di amore e l’amore accetta di contenersi entro i limiti della ragione. Insieme possono molto» (Natura e valore dell’amore, n. 25, p.90-91).

«La ragione è lo sguardo dell’animo, attraverso il quale – direttamente, senza la mediazione del corpo – essa considera la verità. Oppure è la contemplazione stessa del vero; o il vero stesso, che è fatto oggetto di contemplazione; o la vita razionale, cioè l’ossequio razionale nel quale è conforma alla verità contemplata». (L’Epistola aurea, n. 203, p. 261).

«Lo sguardo dell’anima è la ragione. Ma siccome non è detto che tutti quelli che guardano vedano, si definisce virtù lo sguardo diritto e perfetto, cioè quello che è accompagnato dalla visione. La ragione, infatti è una virtù retta e perfetta.[…]. Così lo sguardo è accompagnato da quella visione di Dio che costituisce il fine dello sguardo stesso; […]. Ed è questa la virtù veramente perfetta: la ragione che centra il proprio obiettivo e che , con ciò stesso conquista la vita beata» (Lo specchio della fede, n. 2, p. 63).

«Esiste una ragione che attacca e una ragione che resiste: l’una terrestre e dalla sapienza carnale, l’altra invece spirituale e incline a considerare tutto in una prospettiva spirituale; la prima esitante come dinanzi ad argomenti non suffragati da prove, la seconda pronta a sottomettersi in tutto all’autorità e insofferente, per di più, del fatto che venga messo in dubbio – anche solo in qualche sua parte – ciò che essa ha accolto con certezza per effetto dell’autorità divina e di una fede non falsa». (Lo specchio della fede, n. 21, p. 78).

«La ragione, obbedendo alla fede, accorda senza problemi il suo assenso e, scartando la soluzione del ragionamento naturale nei punti dubbi, comincia a sottomettere tutto all’autorità». (Lo specchio della fede, n. 23, p. 80) .

«La ragione non può vedere Dio se non in ciò che egli non è, mentre l’amore non accetta di riposarsi se non in ciò che (Dio) è. In effetti, cos’è che la ragione – con tutti i suoi tentativi – potrebbe comprendere o scoprire, di cui oserebbe affermare: “Il mio Dio è questo?” Difatti essa è in grado di trovare ciò che (Dio) è soltanto nella misura in cui scopre ciò che egli non è. Per giunta la ragione dispone di certi suoi itinerari sicuri e di (alcuni) percorsi diretti lungo i quali procedere; l’amore, viceversa, va avanti più con la sue insufficienze, intende maggiormente con la sua ignoranza. Perciò la ragione sembra progredire attraverso quello che non è verso quello che è» (Natura e valore dell’amore, n. 25, p. 90).

«La ragione e l’amore diventano una cosa sola al pari di ciò che da essi consegue, cioè la sapienza e la scienza. (In tal caso) non è più possibile trattare o concepire separatamente ciò che costituisce ormai una unità ed è il risultato di una sola operazione e virtù, tanto nella conoscenza di colui che comprende, quanto nella gioia di colui che gode. Perciò, anche se occorre distinguere una cosa dall’altra – ove necessario – si dovrà considerare e trattare la prima insieme con la seconda e nel contesto della seconda». (L’Epistola aurea, n. 196, p. 259.).

«Quando cooperano l’uno con l’altra, la ragione istruisce l’amore e l’amore illumina la ragione, la ragione lascia spazio al sentimento di amore e l’amore accetta di contenersi entro i limiti della ragione. Insieme possono molto. Ma che cosa possono? Se uno compie dei passi in avanti in questo cammino, riesce a fare progressi e ad apprendere solo grazie all’esperienza, per cui non può dialogare con chi non ha fatto la stessa esperienza. Infatti come è detto nella Sapienza, L’estraneo non sarà ammesso a condividere la sua gioia» (Natura e valore dell’amore, n. 25, p. 91).

«Una volontà buona è già l’inizio dell’amore. Una volontà veemente, poi, se è come rivolta ad un assente è desiderio, se colpita da uno che è presente è amore – quando per lei che ama è disponibile nell’intelletto ciò che ama – giacché l’amore di Dio è esso stesso sua conoscenza». (Commento al Cantico dei Cantici, n. 71, p. 93).

«Questa volontà, in virtù della prevenzione e cooperazione della grazia, comincia ad aderire di buon grado allo Spirito Santo, che è l’amore e la volontà del Padre e del Figlio, iniziando a volere fortemente ciò che Dio vuole e ciò che la memoria e la ragione le suggeriscono di volere: e così, volendo fortemente essa diventa amore». (Natura e valore dell’amore, n. 6, p. 70).

«C’è l’amore di desiderio e c’è l’amore di fruizione. L’amore di desiderio merita qualche volta la visione, la visione la fruizione, la fruizione la perfezione dell’amore». (GUILLELMI ABBATIS SANCTI THEODORICI De contemplando Deo, PL n. 184, 7, 370).

«Altro è l’amore di chi languisce, altro quello di chi fruisce. Giacché l’amore di desiderio arde anche nelle tenebre, ma non riluce; l’amore, invece, di chi fruisce è tutto nella luce, poiché la fruizione stessa è luce per chi ama». (Commento al Cantico dei Cantici, n. 57, p. 79).

« La conoscenza, e l’amore della sposa per lo Sposo sono un’unica cosa, perché in tal caso l’amore stesso è conoscenza E quando questo per grazia sovrabbondante si compie, per un momento, per un tempo, nel cuore della sposa, è proprio ciò che in questa vita la sposa ha tanto ansiosamente cercato: l’accubito meridiano dello Sposo con la sposa nella conoscenza della luce meridiana, nell’amore del meridiano fervore; in cui , poiché l’amore ritorna donde viene, lo Sposo pasce e si pasce. Entrambi i significati ha, infatti, tal verbo pasce». (Commento al Cantico dei Cantici, n. 54, p. 77 – 78).

«Quando a somiglianza di colui che lo fa egli vien fatto l’uomo diviene da Dio affetto, cioè con Dio un solo spirito, bello nel Bello, buono nel Buono; e ciò a suo modo, secondo la forza della fede, la luce dell’intelletto e la misura dell’amore, essendo in Dio per grazia ciò che egli è per natura Secondo la misura del progresso o della somiglianza è la misura del fruire, poiché non può né esservi somiglianza se non nel fruir che la cattura né fruizione se non nella somiglianza che la procura ». (Commento al Cantico dei Cantici, n. 90, p. 103).

«Essa (somiglianza) è così singolare e particolare che non è più una somiglianza, ma viene definita unità di spirito. Questa somiglianza si chiama unità di spirito perché lo Spirito santo la produce o vi predispone lo spirito dell’uomo; non solo, ma perché è essa stessa lo Spirito santo vero e proprio […] Quando nell’abbraccio e nell’intimità del Padre e del Figlio la coscienza beata si scopre in qualche modo coinvolta; quando – in una maniere ineffabile, impensabile.- l’uomo di Dio merita di diventare non già Dio ma quello che Dio è». (L’Epistola Aurea, n.262-263, p. 276).

«(Questo genere di somiglianza si realizza) quando l’uomo diventa una cosa sola con Dio, uno spirito unico con lui, non soltanto per l’unità di una volontà identica, ma per la virtù […] di non essere capace di volere altro da ciò che Dio vuole». (L’Epistola Aurea, n.262, p. 276).

«Tramite lo Spirito santo, per lo spirito dell’uomo e per il senso dell’amore illuminato – che qua e là, con rapidità, talvolta giunge a toccare fin lassù – diventa dolce questo, qualsiasi cosa sia, e rapisce l’amante un che di amato più che di pensato, un che di gustato più che di compreso. (Commento al Cantico dei Cantici, n. 95, p. 107).

Opere

-G. DI SAINT-THIERRY, Commento al Cantico dei Cantici, C. FALCHINI (Ed), Magnano 1991. (Epitalamio in appendice).

-G. DI SAINT-THIERRY, Opere/3, La contemplazione di Dio, Natura e valore dell’amore, Preghiere meditate, M. SPINELLI (Ed), Roma 1998.

-G. DI SAINT-THIERRY, Opere/1, Lo specchio della fede, L’enigma della fede, L’epistola aurea, M. SPINELLI (Ed), Roma 1993.

-G. DI SAINT-THIERRY, Vita di san Bernardo, M. SPINELLI (Ed), Roma 1997.

-De sacramento altaris, PL 180, 341-366

 

La ragione e l’amore

«Come da due braccia o da due mani, la sposa è stretta al cuore dello sposo. La ragione attira e l’amore abbraccia, mentre ciò che secondo ragione è scelto viene amato» «Bene tramite la destra è espressa l’acutezza della ragione, o della scienza razionale, della quale ugualmente si legge: Passeranno i tempi e molteplice sarà la scienza» (Commento al Cantico dei Cantici, n. 131 p.132)

«Due sono gli occhi della contemplazione: la ragione e l’amore. E secondo ciò che dice il profeta: “Le ricchezze della salvezza: la sapienza e la scienza” l’uno scruta secondo la scienza le cose umane, l’altro, invece, secondo la sapienza le cose divine. Quando poi sono illuminate dalla grazia si aiutano molto a vicenda, poiché, sia da un lato, l’amore vivifica la ragione, sia dall’altro, la ragione rischiara l’amore» (Commento al Cantico dei Cantici, n. 88, p. 102).

«La vista per vedere Dio – luce naturale dell’anima – creata dall’autore della natura, è la carità. Ora, in questa vista ci sono due occhi che palpitano continuamente, con una sorta di tensione naturale (dello sguardo), per vedere la luce che è Dio: l’amore e la ragione. Se uno dei due si sforza senza l’altro, non registra grandi progressi; se (invece) essi collaborano fra loro sono molto potenti perché, chiaramente, diventano un unico occhio, a proposito del quale lo Sposo dice nel Cantico: Mi hai ferito il cuore, amica mia, con uno solo dei tuoi occhi. Ora (questi occhi) si affaticano moltissimo, ognuno a suo modo. La ragione si trova in una maggiore sobrietà, l’amore in una maggiore beatitudine. Quando, però, cooperano l’uno con l’altra, la ragione istruisce l’amore e l’amore illumina la ragione. La ragione lascia spazio al sentimento di amore e l’amore accetta di contenersi entro i limiti della ragione. Insieme possono molto» (Natura e valore dell’amore, n. 25, p.90-91).

«La ragione è lo sguardo dell’animo, attraverso il quale – direttamente, senza la mediazione del corpo – essa considera la verità. Oppure è la contemplazione stessa del vero; o il vero stesso, che è fatto oggetto di contemplazione; o la vita razionale, cioè l’ossequio razionale nel quale è conforma alla verità contemplata». (L’Epistola aurea, n. 203, p. 261).

«Lo sguardo dell’anima è la ragione. Ma siccome non è detto che tutti quelli che guardano vedano, si definisce virtù lo sguardo diritto e perfetto, cioè quello che è accompagnato dalla visione. La ragione, infatti è una virtù retta e perfetta.[…]. Così lo sguardo è accompagnato da quella visione di Dio che costituisce il fine dello sguardo stesso; […]. Ed è questa la virtù veramente perfetta: la ragione che centra il proprio obiettivo e che , con ciò stesso conquista la vita beata» (Lo specchio della fede, n. 2, p. 63).

«Esiste una ragione che attacca e una ragione che resiste: l’una terrestre e dalla sapienza carnale, l’altra invece spirituale e incline a considerare tutto in una prospettiva spirituale; la prima esitante come dinanzi ad argomenti non suffragati da prove, la seconda pronta a sottomettersi in tutto all’autorità e insofferente, per di più, del fatto che venga messo in dubbio – anche solo in qualche sua parte – ciò che essa ha accolto con certezza per effetto dell’autorità divina e di una fede non falsa». (Lo specchio della fede, n. 21, p. 78).

«La ragione, obbedendo alla fede, accorda senza problemi il suo assenso e, scartando la soluzione del ragionamento naturale nei punti dubbi, comincia a sottomettere tutto all’autorità». (Lo specchio della fede, n. 23, p. 80) .

«La ragione non può vedere Dio se non in ciò che egli non è, mentre l’amore non accetta di riposarsi se non in ciò che (Dio) è. In effetti, cos’è che la ragione – con tutti i suoi tentativi – potrebbe comprendere o scoprire, di cui oserebbe affermare: “Il mio Dio è questo?” Difatti essa è in grado di trovare ciò che (Dio) è soltanto nella misura in cui scopre ciò che egli non è. Per giunta la ragione dispone di certi suoi itinerari sicuri e di (alcuni) percorsi diretti lungo i quali procedere; l’amore, viceversa, va avanti più con la sue insufficienze, intende maggiormente con la sua ignoranza. Perciò la ragione sembra progredire attraverso quello che non è verso quello che è» (Natura e valore dell’amore, n. 25, p. 90).

«La ragione e l’amore diventano una cosa sola al pari di ciò che da essi consegue, cioè la sapienza e la scienza. (In tal caso) non è più possibile trattare o concepire separatamente ciò che costituisce ormai una unità ed è il risultato di una sola operazione e virtù, tanto nella conoscenza di colui che comprende, quanto nella gioia di colui che gode. Perciò, anche se occorre distinguere una cosa dall’altra – ove necessario – si dovrà considerare e trattare la prima insieme con la seconda e nel contesto della seconda». (L’Epistola aurea, n. 196, p. 259.).

«Quando cooperano l’uno con l’altra, la ragione istruisce l’amore e l’amore illumina la ragione, la ragione lascia spazio al sentimento di amore e l’amore accetta di contenersi entro i limiti della ragione. Insieme possono molto. Ma che cosa possono? Se uno compie dei passi in avanti in questo cammino, riesce a fare progressi e ad apprendere solo grazie all’esperienza, per cui non può dialogare con chi non ha fatto la stessa esperienza. Infatti come è detto nella Sapienza, L’estraneo non sarà ammesso a condividere la sua gioia» (Natura e valore dell’amore, n. 25, p. 91).

«Una volontà buona è già l’inizio dell’amore. Una volontà veemente, poi, se è come rivolta ad un assente è desiderio, se colpita da uno che è presente è amore – quando per lei che ama è disponibile nell’intelletto ciò che ama – giacché l’amore di Dio è esso stesso sua conoscenza». (Commento al Cantico dei Cantici, n. 71, p. 93).

«Questa volontà, in virtù della prevenzione e cooperazione della grazia, comincia ad aderire di buon grado allo Spirito Santo, che è l’amore e la volontà del Padre e del Figlio, iniziando a volere fortemente ciò che Dio vuole e ciò che la memoria e la ragione le suggeriscono di volere: e così, volendo fortemente essa diventa amore». (Natura e valore dell’amore, n. 6, p. 70).

«C’è l’amore di desiderio e c’è l’amore di fruizione. L’amore di desiderio merita qualche volta la visione, la visione la fruizione, la fruizione la perfezione dell’amore». (GUILLELMI ABBATIS SANCTI THEODORICI De contemplando Deo, PL n. 184, 7, 370).

«Altro è l’amore di chi languisce, altro quello di chi fruisce. Giacché l’amore di desiderio arde anche nelle tenebre, ma non riluce; l’amore, invece, di chi fruisce è tutto nella luce, poiché la fruizione stessa è luce per chi ama». (Commento al Cantico dei Cantici, n. 57, p. 79).

« La conoscenza, e l’amore della sposa per lo Sposo sono un’unica cosa, perché in tal caso l’amore stesso è conoscenza E quando questo per grazia sovrabbondante si compie, per un momento, per un tempo, nel cuore della sposa, è proprio ciò che in questa vita la sposa ha tanto ansiosamente cercato: l’accubito meridiano dello Sposo con la sposa nella conoscenza della luce meridiana, nell’amore del meridiano fervore; in cui , poiché l’amore ritorna donde viene, lo Sposo pasce e si pasce. Entrambi i significati ha, infatti, tal verbo pasce». (Commento al Cantico dei Cantici, n. 54, p. 77 – 78).

«Quando a somiglianza di colui che lo fa egli vien fatto l’uomo diviene da Dio affetto, cioè con Dio un solo spirito, bello nel Bello, buono nel Buono; e ciò a suo modo, secondo la forza della fede, la luce dell’intelletto e la misura dell’amore, essendo in Dio per grazia ciò che egli è per natura Secondo la misura del progresso o della somiglianza è la misura del fruire, poiché non può né esservi somiglianza se non nel fruir che la cattura né fruizione se non nella somiglianza che la procura ». (Commento al Cantico dei Cantici, n. 90, p. 103).

«Essa (somiglianza) è così singolare e particolare che non è più una somiglianza, ma viene definita unità di spirito. Questa somiglianza si chiama unità di spirito perché lo Spirito santo la produce o vi predispone lo spirito dell’uomo; non solo, ma perché è essa stessa lo Spirito santo vero e proprio […] Quando nell’abbraccio e nell’intimità del Padre e del Figlio la coscienza beata si scopre in qualche modo coinvolta; quando – in una maniere ineffabile, impensabile.- l’uomo di Dio merita di diventare non già Dio ma quello che Dio è». (L’Epistola Aurea, n.262-263, p. 276).

«(Questo genere di somiglianza si realizza) quando l’uomo diventa una cosa sola con Dio, uno spirito unico con lui, non soltanto per l’unità di una volontà identica, ma per la virtù […] di non essere capace di volere altro da ciò che Dio vuole». (L’Epistola Aurea, n.262, p. 276).

«Tramite lo Spirito santo, per lo spirito dell’uomo e per il senso dell’amore illuminato – che qua e là, con rapidità, talvolta giunge a toccare fin lassù – diventa dolce questo, qualsiasi cosa sia, e rapisce l’amante un che di amato più che di pensato, un che di gustato più che di compreso. (Commento al Cantico dei Cantici, n. 95, p. 107).

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Aprile, 2024