Il primissimo comandamento (seconda parte)

Il primissimo comandamento (Segue) (SEMI n. 244, Febbraio 2022, La semplicità della fede)

 

Scoprire la volontà di Dio 

Il primissimo comandamento, quello di dominare la creazione, ci permette di dare senso a tutto quello che vivremo nei giorni della nostra esistenza terrena. Il senso ultimo, la bussola che orienterà ogni nostra azione, l’oggetto di tutti i desideri che Dio ha messo nel nostro cuore, è Dio stesso, è di fare uno con lui, ci dice san Giovanni della Croce: l’anima deve comprendere che il desiderio di Dio in tutti i doni che le fa, è quello di disporla all’unione divina. Quando si è individuato questo senso ultimo, cioè quando si è ricevuto il Vangelo, la questione sta allora nello scoprire in ogni situazione questa volontà di Dio.

Questa scoperta si svolgerà come ogni storia d’amore. Il primo atto è quello di provare uno slancio irresistibile che porta l’innamorato a fare uno con colui o colei che ama; si è innamorato; non lo ha fatto apposta, e la sua vita mentale ne esce ricostituita da cima a fondo. Questo è il momento delle promesse eterne e quando si è innamorati di Dio, questo è il momento del battesimo e di questa magnifica dichiarazione d’amore: «Seguirò Gesù Cristo incondizionatamente, e rinuncio per questo a tutto quello che mi distoglie da Lui». L’orientamento fondamentale della nostra vita è ormai acquisito.

In realtà, che si tratti di amare una persona umana o di amare Gesù, colui che dichiara così di dare tutto, non dona ancora proprio niente; egli vuole soprattutto che colui o colei che ama, non vada via! Si accorge di ciò nel momento in cui non basterà più dire «ti amo» per trattenere l’altro, ma quando comincerà a fare sacrifici perché resti. Il tempo dell’innamoramento è il tempo dei regali e dei teneri scambi. Per il neofita cristiano è spesso il momento di un intenso fervore e di risoluzioni eroiche: egli si vede pronto al martirio. Questa generosità è più immaginaria che effettiva, perché fare piacere all’altro per trattenerlo è ancora far piacere a se stessi; le cose serie cominceranno quando ci sarà bisogno non di dare, ma di rinunciare. Rinunciare a quella serata con la persona amata perché ha i genitori anziani da curare, sopportare il suo cattivo umore perché io l’ho contrariata, accettare che il fumo della mia sigaretta le dia fastidio e che i miei amici non siano di suo gradimento; in breve, accettare che l’altro sia differente da me e non un altro me stesso. È così che la nostra unione diventerà “trasformante”, perché trasformerà me nell’altro, nella misura in cui io rinuncerò a trasformare l’altro in me. Così, poco a poco, tutto quello che mi apparteneva subirà questa trasformazione, questo trasferimento nell’ altro, fino a che non mi resta più niente di mio e posso dire: «Tutto quello che è mio è tuo». È sul filo di queste rinunce, che si manifestano le esigenze necessarie perché il nostro amore sussista. E quando si è innamorati di Dio, è lì che si rivelano i suoi comandamenti.

 

Una scoperta progressiva

 

Questa scoperta è quella di un ordine delle cose che non mi appartiene e che s’ impone a me: quando ho rinunciato a una serata con la mia fidanzata perché doveva prendersi cura dei suoi genitori, ho rispettato il quarto comandamento: «Onorerai tuo padre e tua madre». Anche se quest’ ordine delle cose, in realtà quest’ ordine morale, è percepito solo vagamente dagli uni e dagli altri, è sorprendente constatare che è riconosciuto con una certa costanza attraverso i secoli e le zone del mondo. Gli obblighi ed i divieti enunciati tramite i dieci comandamenti di Dio, di fatto, incontrano un consenso quasi universale: anche laddove si applica la pena di morte e dove si ammette l’aborto, si dirà che è meglio non uccidere piuttosto che uccidere; anche laddove la giustizia sociale è calpestata, si dirà che è meglio non rubare piuttosto che rubare, che è meglio dire la verità piuttosto che mentire, etc. Questo quadro generale delinea un primo modo di vivere secondo la volontà di Dio, un primo modo di amare, quello che nel linguaggio cristiano corrisponde al fatto di essere salvato, perché si è allora in una logica di vita eterna:

 

Occorre poco per essere salvati: credere a tutti i misteri della nostra religione e osservare i comandamenti di Dio. La prudenza degli uomini di mondo se ne contenta, e non vuol fare niente di più di ciò che è necessario per avere la vita eterna e fuggire quello che può causare loro la dannazione.

                                                                                                                                     François de Sales, Sermone del 17 febbraio 1622

 

Non siamo troppi severi con gli uomini di mondo: «Principio della saggezza è il timore del Signore» (Sal 111)! Bisogna però qui distinguere tra essere salvati ed essere cristiani. Al giovane ricco del Vangelo è assicurata la vita eterna, poiché compie i comandamenti (Mt 19,16-24), eppure gli manca l’essenziale: «Se vuoi essere perfetto, gli dice Gesù, va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi!». Non si tratta più di quello che Dio ordina, ma di ciò che Gesù preferisce. Non siamo più nei comandamenti, ma in quello che la tradizione cristiana chiama consigli evangelici: aldilà del “non rubare”, c’è “beati i poveri in spirito”; aldilà di “non uccidere”, c’è “beati i miti”, etc. Si apre davanti all’innamorato di Dio un campo illimitato di decisioni da prendere non più in funzione di una regola, ma in funzione di una persona:

 

Ce sono molti, scrive san Bernardo, che dicono: «Io osservo i comandamenti di Dio». Eh sì bene, sarai salvato, ecco la tua ricompensa! «Io non sono affatto un ladro!». Tu non sarai impiccato, ecco la tua ricompensa! […] «Faccio quello che so che bisogna fare per essere salvato». Eh sì, bene, avrai la vita eterna, ecco la tua ricompensa; ma sarai considerato soprattutto un servo inutile. La fede vigilante non agisce così; essa serve Dio non come un servo mercenario, ma fedele, perché impegna tutta la sua forza, prudenza, giustizia, e temperanza a fare tutto quello che sa e conosce essere gradito al nostro Signore e Maestro.            

                                                                      Ibidem

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