Le fiamme dell’inferno (prima parte)

Le fiamme dell’inferno  (SEMI n. 227, Luglio-Agosto 2020, Quanto tempo dedicare all’orazione)

Abbiamo visto che tutta la felicità che desideriamo risiede in una completa comunione di vita con Dio e con i nostri fratelli (cfr. Semi n. 221), di modo che il cielo corrisponde alla perfezione di questa unione e l’inferno all’assoluta disunione. Per questo,

Se, per assurdo si potesse amare Dio all’inferno, e volesse mettermici, non me ne preoccuperei: perché sarebbe con me e la sua presenza ne farebbe un paradiso.

Lorenzo della Risurrezione (1614-1691), L’esperienza della presenza di Dio

 

Quanto al purgatorio, corrisponderà allo stato imperfetto di questa comunione beata. Ma sottolineiamo che questa divisione tra i differenti gradi di unione con Dio e con i fratelli vale tanto per questa vita che per l’aldilà, anche se paradiso, inferno, purgatorio si riferiscono comunemente all’aldilà: non cadiamo nell’errore di riservare la risurrezione e la felicità eterna ad un futuro lontano, dimenticando che fin da adesso l’accesso al paradiso ci è riaperto (cfr. Semi n. 224). Tramite la vittoria di Cristo nella Pasqua, in effetti,

 

Noi vediamo l’antica tirannide del demonio capovolta, la morte distrutta, il forte incatenato e la sua potenza abbattuta, il peccato tolto dal mondo, la maledizione cancellata, il paradiso riaperto, l’accesso al cielo ridato all’uomo, gli uomini uniti agli angeli, tolto il muro di separazione, il velo strappato, il Dio della pace che pacifica il cielo e la terra.

San Giovanni Crisostomo (350-407), Prima omelia sulla croce e il buon ladrone

 

Peraltro, siamo ben coscienti dell’impossibilità di parlare in modo adeguato delle realtà immateriali e dunque insensibili e questo ci obbliga a molte precauzioni quando parliamo dell’aldilà. Dire, per esempio, che i beati “vedono” Dio, non deve fare dimenticare che non hanno occhi per questo e che i dannati non hanno più orecchi per ascoltare lo stridore lugubre dell’inferno. Quindi diffidiamo delle immagini che, in mancanza di meglio, sono abitualmente associate all’inferno: alcuni ne parlano in termini di fuoco, altri come un ghiacciaio; le vetrate delle nostre cattedrali ne fanno ora una sala di tortura, ora un mostro che divora le sue prede. Ad ogni modo, si tratta di evocare la sofferenza di essere separati da Dio: poiché la felicità possibile è misurata dall’unione con Gesù e ogni infelicità è misurata dalla disunione con lui. L’Imitazione di Gesù Cristo riassume molto semplicemente questo rapporto tra cielo e terra:

 

Essere senza Gesù, è un inferno insopportabile; essere con Gesù, è un paradiso di delizie.

Tommaso da Kempis, Imitazione II, 8

 

L’inferno non è, dunque, un luogo, ma uno stato; uno stato di rottura della nostra relazione con Dio e, di fatto, un’assoluta infelicità. Riferito alla vocazione dell’uomo alla comunione, questo stato è semplice da comprendere: quello che causa la felicità dei beati è esattamente quello che causa l’infelicità dei reietti. Ѐ nella natura dell’amore non aver ritorno mai su di sé. Dio non riprende i suoi doni e il dannato non è meno amato del più santo dei santi, ma l’amore rende felice solamente colui che accetta di essere amato e accettare di essere amato è amare in cambio. In mancanza di questa reciprocità, colui che è amato proverà contemporaneamente il desiderio di amare che questo amore ha risvegliato nel suo cuore e la privazione della felicità di amare; questa è esattamente la situazione infernale:

 

La morte dell’anima non consiste nel non esistere più, ma nel non conoscere più, nel non amare più Dio. Consiste nel non avere pace né felicità, nell’essere in una inquietudine e in una agitazione continue. Consiste nel provare una fame continua di conoscere e di amare il sovrano bene e nel non poter mai saziare questa fame.

 

In questa fame impossibile a placarsi, nell’aldilà come qui, il peccato è soltanto il tentativo continuamente deluso di consolarsi, come l’ubriaco de Il Piccolo Principe che beve per dimenticare che beve:

 

Per distrarre, e in qualche modo per eludere questa fame, gli uomini consegnati alle loro passioni si gettano con una specie di furia su ogni oggetto che si presenta; portano a spasso la loro mente da un pensiero all’altro; il loro cuore da affezioni ad affezioni; ma il loro disgusto, la loro noia, la loro incostanza, i loro cambiamenti continui provano che non trovano da alcuna parte, fuori di Dio, niente che li soddisfi e li sazi. La loro anima è sempre errante e vagabonda nei suoi desideri; cerca sempre; s’illude sempre che troverà, che si stabilizzerà ed è sempre frustrata nella sua attesa.

Jean-Nicolas Grou (1731-1803), Manuale delle anime interiori

 

Si comprende che l’inferno non è una vendetta o una punizione, ma questa lacerazione tra il desiderio di Dio che il suo amore ha fatto nascere nel nostro cuore e il rifiuto di amare che gli opponiamo. Certo, questo rifiuto, per la maggior parte del tempo, è solo implicito: non si dice no a Dio, ma si dice no alla verità quando si è falsi, alla bontà quando si è egoisti, alla dolcezza quando si è violenti, ecc. Così nel giorno del Giudizio, i mentitori, gli egoisti e i violenti comprenderanno la triste constatazione di Cristo: «Tutte le volte che non avete dato un po’ di pane ad uno di quelli che aveva fame, un bicchiere di acqua a quelli che avevano sete, un vestito a chi era nudo, è a me che non l’avete fatto» (Mt 25,31-46).

 

L’inferno è interamente in questa separazione tra la nostra volontà e quella di Dio:

San Bernardo ci assicura che ciò che serve da legna all’inferno, è la nostra volontà: «Cosa brucia all’inferno, se non la nostra volontà?» È una verità così incontestabile che aggiunge perfino che, se questa propria volontà scomparisse dal mondo, non si avrebbe più l’inferno».

Jean Taulero (1300-13619), Sermone 7

 

«Non è che questo!» diranno alcuni. È solo questo, in effetti, come se non bastasse alla nostra infelicità di essere definitamente lontani dal nostro Padre e dai fratelli. È significativo che sono sempre i santi a parlare dell’inferno e mai i peccatori: sulla questione dei dannati, la Scrittura parla di morte eterna e un morto non si lamenta affatto. Ma i salvati, coloro che vivono l’amore di Dio e dei loro fratelli, sanno quello che perdono coloro che non amano. (Segue)

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