Ritiri spirituali mensili

RENE VOILLAUME – Pregare per vivere – Quarta parte

Non basta nutrire la fede, bisogna incarnarla nelle nostre azioni. Se la nostra fede non è stata esercitata durante la giornata, non stupiamoci se la troviamo anchilosata nel momento dell’orazione. Ci sembra che i tre atteggiamenti interiori più necessari per avvicinarci a Dio, siano il distacco da ogni cosa e da noi stessi, la carità verso gli altri e l’obbedienza. Nessuno di questi atteggiamenti può essere spontaneo; essi sono delle abitudini lentamente acquisite attraverso atti coscienti. Vivere è agire.

Vivere di fede è obbligarsi, per volontà, a dei sentimenti o a degli atti che non corrispondono alle nostre reazioni umane ordinarie, ma che sono una conseguenza logica delle realtà invisibili, a cui solo la fede può attingere. Per agire contro le nostre tendenze naturali, ci vuole un motivo chiaramente presente allo spirito, almeno in modo latente, ma sufficiente per provocare questa reazione soprannaturale. È uno sforzo sempre difficile all’inizio, ma che diviene impossibile se la fede non è alimentata in modo esplicito. Bisogna avere presente il volto del Cristo crocifisso o risentire nel cuore le sue parole sulla necessità di perdersi, per sottoporsi a un sacrificio volontario, che ci si presentasse all’improvviso.
Mettere la propria vita in accordo con la propria fede, suppone che il contenuto di quest’ultima sia ben vivo nella nostra memoria e capace di tradursi in atti. L’orazione, essendo legata alla nostra vita, non può essere migliore di noi stessi.
È un atto del nostro essere cristiani e sono le stesse virtù, le stesse abitudini, che ci fanno agire nella solitudine della preghiera o quando siamo mescolati, nella vita di ogni giorno, in mezzo agli uomini. Solo l’oggetto e la direzione dell’azione sono allora differenti. È in questo senso che vi è unità tra la nostra vita e la nostra preghiera. L’una è complementare dell’altra. Una vera preghiera è sempre «nella vita».

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Aprile, 2024