Santità e mistica (seconda parte)

Santità e mistica (Segue)  (SEMI n. 230, Novembre 2020, Quando Dio s’impone)

 

Contemplazione ed evangelizzazione

 

Abbiamo individuato l’esperienza contemplativa come l’evento nel quale il Verbo di Dio prende carne, diviene parola umana. Ci resta da fare un passo in più, decisivo per comprendere come si diffonde il Vangelo a partire da questa esperienza; esso ci permetterà di precisare quello che vuole dire “evangelizzare”.

Bisogna perciò considerare due dati di ogni vita contemplativa: il primo è che Cristo stesso si rende presente nel contemplativo, così realmente che parliamo della sua presenza sotto le apparenze (le “specie”) eucaristiche; il secondo è che la capacità evangelizzatrice dell’apostolo è misurata dalla sua unione a Colui che lo invia, come si è scritto a proposito di Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni: «La parte dell’uomo nell’azione, è la contemplazione».

 

Il contemplativo, trasformato in Gesù

 

Parlando dell’esperienza contemplativa come rifrazione della luce divina nella psiche umana, abbiamo potuto considerarla in continuità con il mistero dell’Incarnazione, per poco che si dia la propria energia al legame che unisce Cristo al suo discepolo, e che permette di dire che tutto ciò che è vero di lui, lo diviene anche del discepolo. Questo legame, ci dice s. Paolo, è quello che sussiste tra le membra e la testa di uno stesso corpo, al punto che la vita cristiana può essere definita semplicemente come «estensione e continuazione dei misteri di Gesù», ci dirà san Jean Eudes (La vita e il regno di Gesù, III, 4).

Il primo mistero di Gesù di cui si appropria il suo discepolo è quello della sua nascita: come il Santo Spirito è sceso su Maria perché Gesù nascesse uomo, così viene su ciascun discepolo di Gesù perché Cristo continui a crescere in umanità. Maria ha fatto molto più che accogliere il Figlio di Dio: l’ha arricchito della sua umanità, così come l’acqua attraversata dalla luce non riflette la luce, ma l’arricchisce divenendo luminosa, senza alcuna alterazione né della luce, né dell’acqua. E per i secoli successivi, l’Annunciazione sarà l’episodio biblico che permetterà di comprendere l’esperienza contemplativa.

Pensare l’esperienza contemplativa come questa rifrazione di Dio nell’uomo, invita a capire che il contemplativo non è spettatore, ma attore di quello che contempla. Un errore comune è di credere che i contemplativi “vedono” in qualche modo questo Dio invisibile agli altri. Errore! Il contemplativo, essendo passato in Dio, vive quello che Dio vive e vede quello che Dio vede. Il fatto di trovarsi così in presa diretta sull’essere delle cose, spiega questa sensazione che abbiamo rilevato in Lucie Christine quando rende conto della sua esperienza: «Provavo come il sentimento della realtà». Quello che differenzia l’esperienza mistica dall’esperienza comune non è il suo contenuto, ma questa densità di percezione di quello che è, aldilà di quello che appare soltanto: «Vi si scopre, vissuto dal mistico nella chiarezza di una evidenza, quello che ciascuno di noi sa tramite la propria fede» ci ha detto Garonne.

 

La contemplazione, chiave dell’evangelizzazione

 

Questa rifrazione di Dio nell’uomo rende Dio realmente presente sotto le specie dell’umanità. Nel caso particolare dell’apostolato, la Scuola francese di spiritualità sottolinea che l’apostolo non si definisce per la sua funzione o azione, ma per questa trasformazione radicale in Gesù: «è Gesù Cristo nascosto sotto l’esteriorità dell’uomo, simile alla santa ostia la cui l’esteriorità sembra solamente pane, ma la cui sostanza è Gesù Cristo, non avendo che l’esteriorità di uomo» (Jean Jacques Olier, Trattato sui santi Ordini). Anche se Olier parla qui di un prete, ciò resta vero per ogni cristiano: quando si è fedeli alla volontà di Dio,

 

            Questa volontà ci fa essere il Gesù che Dio vuole che siamo, e, pertanto, una modalità del Verbo incarnato. Questo è proprio del divino che si fa uomo; dell’invisibile che appare; dell’eterno che prende posto e data nel tempo; questo è il cielo disceso sulla terra, quello che noi domandiamo nell’orazione domenicale e che san Paolo chiama così bene “la venuta di Cristo”, venuta che è anche quella del regno di Dio.

                                                                                                                                                Charles Gay (1815-1892), Elevazione 121

 

Ecco come “essere il Gesù che Dio vuole che siamo” permetterà l’incontro con la persona di Cristo per coloro che non lo conoscono ancora e, per reazione a catena, permetterà la diffusione del Vangelo. «Chi ha visto me, ha visto il Padre» può dire Gesù; «chi mi ha visto, ha visto Gesù» dovrebbe poter dire il suo discepolo, e potrà dirlo nella misura esatta della sua unione a Cristo e quindi della sua trasformazione in lui. In effetti, quello che il non cristiano vedrà, sarà Gesù stesso sotto le sembianze dell’apostolo, ed è in relazione alla stessa persona del Cristo che accetterà o no di condurre, a sua volta, una vita comune con lui e di convertirsi. Questo è il principio basilare dell’apostolato cristiano: non annuncio umano di un contenuto divino, non trasmissione di un messaggio venuto d’altrove, ma una presenza illuminante di Cristo nella sua umanità.

Ciò fa sì che

 

            Un uomo interiore, in un’ora, renderà più servizi alla Chiesa di quanti ne renderanno, in diversi anni, quelli che non lo sono; quanto più quello è intimamente e totalmente unito a Dio non frapponendo ostacoli agli interventi della grazia, tanto più Dio può usarlo come gli piace per il compimento dei suoi disegni.

                                                                                                                                                                  Jean Rigoleuc (1596-1658), Diario

 

In realtà solo Gesù evangelizza e quello che spetta al suo discepolo per l’espansione del suo Regno, è di «essere Gesù, vivendo la vita di Gesù, per fare l’opera di Gesù» (Charles Gay).

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